88-8410-084-4
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Philosophia, 10
«Se Adamo un giorno impugna la penna, state pur certi che è già fuori dal paradiso della vita, che ha già gustato dell'albero della conoscenza del bene e del male. Ecco perché Mefistofele porta una penna sulla testa». La scrittura è perdita dell'inno-cenza e conquista della conoscenza, in questo caleidoscopico affresco che riguarda in primo luogo lo scrittore, l'uomo ed il lettore e che da Abelardo ed Eloisa risale sino ad Adamo e a Mefistofele. La scena è rappresentata dal \"mondo\", ed il tempo da ciò che al tempo non appartiene, che vi si situa oltre, che è il superamento del limite temporale stesso. Non ci troviamo nella Francia dell'XI e del XII secolo, ma in una situazione che costantemente digredisce dai suoi riferimenti impliciti di base. Tentare di cogliere lo \"spirito\" dell'Abelardo di Feuerbach significa continuamente digredire, poiché l'intero Abelardo è di per se stesso una digressione, la rappresentazione brillante e ironica, profonda e coinvolgente, dell'erranza propria dell'esistenza umana. Costruito con un sapiente giuoco di specchi, di rimandi, di allusioni, questo grande classico della filosofia tedesca viene qui riproposto in una traduzione che, pur nel filologico rigore, sa renderne il páthos originale e la capacità di catturare l'attenzione di chi lo legge. La sublime e terribile bellezza di Eloisa, la calma ragione di Abelardo, il fuoco della scrittura, l'insipienza del mondo, la banalità della quotidiana esistenza ne rappresentano lo sfondo e la cornice. Abelardo ed Eloisa sono i simboli universali dei problemi fondamentali del filosofare. Eloisa è la Vita, è lo Spirito, Abelardo è la ricerca della conoscenza e della verità. Ma Eloisa, proprio perché Vita, è anche l'éros ed è anche la morte, è l'espansione ed è la contrazione, è il limite temporale ed è il superamento eterno del limite, è dunque proprio quella verità a cui Abelardo aspira.