Nel profondo disagio, nella confusione e nello smarrimento che investono globalmente le nostre società, il messaggio che Marx ci ha lasciato continua ad agire come desiderio di radicale cambiamento. Persino nel momento in cui abbiamo smesso di credere in un evento rivoluzionario risolutivo, è rimasta la fascinazione della rivoluzione in sé e per sé. Ci consoliamo sperando in un comune bisogno di ritrovare valori certi, continuiamo a nutrire nostalgia per condivise soluzioni di trasformazione. La versione “nostalgica” di Marx è certamente la più attuale ma è anche, senza alcun dubbio, la più sterile, perché ci nega ogni prospettiva di avvenire e ci rinchiude nella nostra auto-soddisfatta disperazione. Come mette in evidenza Antonio Giordani, in questo agile e rigoroso studio, Marx è distante da ogni nostalgia e da ogni statica autoconsolazione, tanto da porre in discussione l’oggetto stesso della nostalgia e l’esito di un processo storico che potrebbe consolare, vale a dire il concetto stesso di comunismo. Marx, a differenza di molti altri pensatori rivoluzionari, ha infatti il coraggio di parlare del dopo il comunismo, nel quadro di una dialettica in inarrestabile divenire che non può fermarsi ad alcuna forma sociale e politica, per quanto desiderata e perseguita questa possa essere. Una volta usciti di scena gli spietati eroi ideologici di cui le rivoluzioni si nutrono,
compaiono finalmente gli uomini normali, quelli che vogliono “allevare”, “cacciare”, “coltivare la terra”, “criticare”, “dipingere” etc. È nella particolare delineazione di queste esistenze che Marx scopre la chiave per una vita veramente umana.