Homo sum, humani nihil a me alienum puto. Questa frase del poeta latino Terenzio viene citata da Feuerbach in uno dei paragrafi conclusivi della sua opera probabilmente più importante, i Fondamenti della filosofia dell’avvenire del 1843, e rappresenta sintesi critica nonché valenza progettuale del suo pensiero. Situata nel quadro di un rovesciamento del sistema di Hegel, con quella frase al contempo si vuol segnalare come da un tale sistema non si possa prescindere, e ciò non solo per l’ovvio gravame di una cultura coevamente dominante, bensì ai fini della costruzione medesima di una filosofia a-venire che intenda dar corpo concreto, appunto essenzialmente umano, a quanto un’intera tradizione moderna avrebbe lasciato in sospeso, oppure messo ai margini, tanto da risultare un succedersi di inganni ed errori. Se «questa frase, presa nel suo significato più universale e più elevato, è il motto del filosofo nuovo», allora è da questa frase che dobbiamo prendere le mosse per valutare l’effettiva novità di un filosofo che ad essa si richiama.
I tre studi che qui vengono raccolti intendono rispondere a questa esigenza: fino a che punto Feuerbach è “nuovo”, fino a che punto sa emanciparsi da Hegel, dalla sua «teologia speculativa» e dalle forme religiose e filosofiche del moderno, secondo il progetto dell’antropologia del futuro?