«Il più grande epigono di Schopenhauer è stato indubbiamente Wagner, anche in campo strettamente filosofico». Con gesto inconfondibile, Verrecchia sgombra l’orizzonte da annosi errori e luoghi comuni, costringendo Nietzsche – finora l’unico erede “riconosciuto” di Schopenhauer – in “un cantuccio piagnucoloso”. L’ammirazione per Wagner traspare bene da tutti gli scritti di Verrecchia, ma egli aveva dedicato un intero saggio al musicista filosofo, innovativo interprete di Buddha e Schopenhauer. Quel saggio – pimpante e dottissimo – è rimasto rocambolescamente inedito e secretato fra le carte della sua biblioteca. Nel darlo oggi a nuova luce sono stati aggiunti, a mo’ di medaglione wagneriano, alcuni elzeviri apparsi su «La Stampa» affini per tema e sfolgorio stilistico. Così – dopo Bruno, Schopenhauer e Nietzsche – Verrecchia chiude con piglio magistrale il giro delle proprie passioni di studio: culmine di pessimismo e libero pensiero.