Sulla scorta del concetto di ripetizione, che si richiama tanto a Kierkegaard, quanto a Freud e a Benjamin, non-ché con riferimento alla mémoire involontaire di Proust, il presente lavoro pone in evidenza la sotterranea continuità tra la crisi vissuta da Kafka nel 1917 – di cui testimoniano i fondamentali Aforismi di Zürau – e il profondo crollo psicologico del 1922, che catalizza e porta a un nuovo, inaudito grado di concentrazione le energie creative dello scrittore praghese.
Come l’uomo dall’ombra troppo lunga, come il cittadino di un altro mondo, che però sente ancora fortissimo il legame con questo mondo, Kafka cristallizza la scissione, già espressa nel Silenzio delle sirene (1917), tra la tentazione di svuotarsi d’ogni memoria e l’esigenza, di segno contrario, del radicale controllo di se stesso. Il discorso risulta giocato secondo una serie di irrisolvibili antinomie: vedere/non vedere, immagine/suono, etc. Kafka mette in scena il fondamentale paradosso del viaggiatore che, giunto nel luogo in cui il fragore è più forte, conti-nua a domandare e a voler sapere come fosse quel luogo prima del suo arrivo. E ciò sullo sfondo di una sospensione infinita la quale evidenzia, come gran parte della critica ha sottolineato, l’implicazione che stringe in un unico nodo scrittura e problema gnoseologico.